La relazione tra paziente e terapeuta

Nel libro “Clues”, de Shazer sceglie di adottare una classificazione utilizzata all’MRI, per descrivere quella che era la relazione tra paziente e terapeuta. Questa classificazione prevede tre tipi di rapporto: customer, complainant e visitor (cliente, colui che si lamenta, denuncia, e visitatore). Non è dunque un’etichetta che viene messa al paziente.

Tale classificazione è collegata all’idea che:

«una conversazione terapeutica può essere scandita a partire dallo sfogo di un malessere.» (1988:88)

Relazione tra paziente e terapeuta: customer, complaint e visitor

«A volte le persone non sembrano avere nulla di cui lamentarsi e il motivo per cui vanno nello studio di un terapeuta è semplicemente perché qualcuno ha detto loro di andarci o perché ce li ha portati». (1988: 87)

Nella descrizione della relazione col paziente “visitatore”, de Shazer indica la necessità di trattare questi pazienti  come tali. Non devono essere imposte loro terapie o assegnati compiti. Al contrario, raccomandava di stare dalla loro parte, come dei complici, cercando di stabilire cosa funzionasse e cosa no.

Nella relazione con il “complainant”, de Shazer descrive un rapporto nel quale qualcuno riconosce che vi sia un problema ma si mostra disinteressato o riluttante a fare qualcosa a riguardo. Anche in questo caso il tipo di approccio da adottare, di norma, è il medesimo descritto per il visitor.

Solamente quando vi è la volontà di fare qualcosa per risolvere i propri problemi si può parlare di una tipologia di relazione customer-type, quindi da cliente.

L’inversione di rotta

Il pensiero di de Shazer, a partire dal 1991 cambia. Proprio in quegli anni, infatti, lui e la Berg furono invitati dal BRIEF a fare  una presentazione dal titolo “Clienti riluttanti”.

A metà dell’intervento, de Shazer dichiarò che non vi fosse nulla di simile a un paziente riluttante poiché tutti erano pazienti per qualche motivo, anche fosse solo per essere lasciati in pace (molti pazienti venivano costretti dalle istituzioni, o da altri enti, a seguire un percorso terapeutico, pertanto, pur di liberarsi il prima possibile della persona che li aveva in carico, accettavano di andare nello studio del terapeuta).

Ma non solo, de Shazer era arrivato a ritenere che le distinzioni fatte solamente qualche anno prima, fossero una disattenzione, portando i professionisti a pensare di dover valutare la motivazione dei pazienti.

relazione paziente terapeuta

Si tratta di un colloquio tra una paziente e il terapeuta.

Piuttosto, se si prende seriamente ciò che il paziente vuole ottenere dall’incontro con noi, anche se non dovessero incontrarci più, quella sarebbe la base per un lavoro di cooperazione.

Un esempio concreto

Riprendiamo adesso un esempio che troviamo in  “Solution Focused Brief Therapy 100 Key Points and Techniques”. Si tratta di un colloquio tra una paziente e il terapeuta. Questi ritiene che il paziente si sia recato all’incontro, che si svolge in una stanza di consulenza all’interno della più grande scuola secondaria del posto, per una “buona ragione”.

Implicitamente, il terapeuta include questa sua supposizione in ogni domanda e infine lo stesso assunto si riflette nella risposta del paziente.

Terapeuta: Jessica, quali sono le tue migliori aspettative su questo incontro?
Jessica: Non ne ho idea, a essere onesti non ci ho pensato molto.
Terapeuta: Pensandoci, adesso, quali sono le tue migliori aspettative su questo incontro?
Jessica: Nessuna.
Terapeuta: E se dovesse rivelarsi utile cosa speri possa portare?
Jessica: Non penso sarà utile, questi incontri non lo sono mai.
Terapeuta: Okay, allora la tua idea non è una buona idea?
Jessica: No davvero.
Terapeuta: A ogni modo sei qui, come mai?
Jessica: Non avevo scelta, mi era stato detto che sarei dovuta venire.
Terapeuta: Questo è difficile da credere perché sono convinto che tu abbia una forte personalità e probabilmente ti piace decidere da sola. Potrebbe essere così?
Jessica: Come ho detto, non avevo scelta.
Terapeuta: Non posso immaginare che tu faccia sempre quello che ti viene detto!
Jessica: No.
Terapeuta: E com’è che in questa occasione hai deciso di fare quello che ti è stato detto?
Jessica: Perché mi avrebbero espulsa se non lo avessi fatto.
Terapeuta: Va bene, allora, se è possibile, tu hai necessità di trovare un modo per restare a scuola, almeno per adesso.
Jessica: Sì.
Terapeuta: Quindi, se questo incontro in qualche modo ti può aiutare a restare a scuola, va bene per te e va bene per la scuola, significa che questo incontro sarà stato utile?
Jessica: Immagino di sì.
Terapeuta: Okay. Posso farti qualche domanda?
Jessica: Vai avanti.

Se Jessica adesso aveva una buona ragione (in altre parole era motivata) per andare agli incontri o se la sua motivazione fosse stata costruita attraverso la conversazione, è impossibile da dire. In entrambi i casi, l’ipotesi della motivazione del terapeuta era l’ingrediente necessario in questo caso.

Assunti delle relazioni terapeutiche:

  1. Il problema è un qualcosa che il cliente vuole cambiare. Quando il paziente parla dei suoi problemi, il terapeuta cercherà di riconoscere che questi sono delle condizioni di vera difficoltà per il paziente, avvalorando i suoi sentimenti. Se le difficoltà dovessero aumentare svelando ulteriori significati sottostanti alle problematiche esposte, sarà l’esperienza dell’operatore a giocare un ruolo fondamentale.

  2. Il terapeuta che utilizza l’approccio della Terapia centrata sulla Soluzione non ha altri obiettivi all’infuori di quelli formulati dal paziente. In un ambito statutario, l’operatore dovrà capire quale obiettivi il paziente può sperare di raggiungere in linea con le richieste delle autorità statutarie e della legge.

  3. Allo stesso modo il terapeuta lavorerà attraverso i successi del paziente e si fiderà di lui per avere dei feedback riguardo il lavoro fatto. I pazienti apportano al lavoro della terapia risorse, capacità e i punti di forza necessari per risolvere il problema. Può essere che il paziente ancora non ne sia a conoscenza, sarà quindi l’operatore a fare in modo che il paziente se ne renda conto.

  4. Il terapeuta dovrebbe cercare di non avere un punto di vista su ciò che il cliente dovrebbe/potrebbe fare per risolvere il suo problema. L’operatore, assieme al paziente, devono risolvere il problema attraverso il dialogo, trovando la via giusta per quel determinato paziente in quel determinato momento, in base ai suoi valori, credenze e cultura.

  5. Qualsiasi cosa faccia il paziente, prendiamo come assunto che sia il loro miglior modo di essere utili al processo terapeutico. Se il terapeuta trova che la risposta del paziente indichi “resistenza”, significa che non sono ben sintonizzati e che il paziente ha bisogno di altro. Non ci sono risposte sbagliate nella Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, a prescindere dalla risposta del paziente.

  6. L’esperienza del terapeuta consente di orientarsi sui pazienti in modo da indurli a trovare il modo per risolvere il problema che li ha portati alla terapia. Il compito del terapeuta è quello di fare delle domande basandosi sulle risposte del paziente, più di frequente inserendo le loro ultime parole nella nuova domanda che porterà il paziente a un’ulteriore scoperta di sé.

In tal senso la relazione del paziente con se stesso è più importante di quella col terapeuta.

Nel prossimo articolo vedremo perché l’approccio della Terapia Breve centrata sulla Soluzione è efficace, casi studio e approfondimenti.

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

 

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Bibliografia

de Shazer, S. (1988) Clues: Investigating Solutions in Brief Therapy. New York: W. W. Norton.

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