Se avevamo visto nello scorso post che non sempre un paziente arriva nello studio del terapeuta di sua spontanea volontà, ma perché magari è stato obbligato dai servizi sociali o in qualche modo dal suo medico o da un suo familiare, con i ragazzi e le persone molto giovani questa circostanza è molto più frequente. I ragazzi in terapia, solitamente, non scelgono di andarci da soli, ma vengono spinti a farlo dagli adulti.
Ragazzi in terapia, non è una loro scelta
Chi lavora con i ragazzi ha maturato ampia esperienza riguardo ai pazienti che non scelgono da soli di andare in terapia ma che in qualche modo vengono spinti a farlo da persone adulte. Sono pochissimi, infatti, i bambini che maturano autonomamente l’idea della necessità di avere degli incontri terapeutici.
Quasi tutti, come ho detto, sono spinti a effettuare un percorso terapeutico dagli adulti, che possono essere tanto il genitore, un insegnante, quanto un assistente sociale.
Come ci si deve comportare quindi in questo caso? Chiaramente il tipo di approccio sarà differente rispetto a quello descritto per gli adulti che non scelgono autonomamente ma vengono indotti all’incontro, come descritto in questo articolo che puoi leggere qui.
Un buon, modo seguendo l’approccio di Terapia Breve centrata sulla Soluzione, per iniziare un dialogo è descritto nel dialogo che segue.
Un esempio di dialogo potenzialmente utile
Terapeuta: Quindi, di chi è stata l’idea di farti venire qui da me oggi?
Paziente: Di mia madre. Lei voleva che venissi.
Terapeuta: Giusto, quindi quali sono le migliori speranze che nutre tua madre da questo nostro incontro? Come pensi che possa capire che venire qui sia stato davvero utile?
Paziente: Continua a volere che cambi il mio atteggiamento, anche i miei insegnanti lo vogliono.
Terapeuta: Bene, così essere qui oggi è un qualcosa che vogliono solo tua madre e i tuoi insegnanti o pensi che possa essere un bene anche per te?
Paziente: Beh, suppongo che possa essere un bene anche per me.
Terapeuta: Okay, quindi se qualcosa del tuo atteggiamento cambiasse questo potrebbe essere utile per te?
Paziente: Sì.
Terapeuta: Quindi c’è qualche altra cosa che potrebbe esserti utile?
Paziente: Non proprio.
Acquisire le migliori speranze degli adulti
In questo dialogo posiamo notare che il ragazzo non sta facendo altro che acquisire le “migliori speranze” degli adulti.
Se, dall’altro lato, il ragazzo non ha deciso autonomamente di effettuare il percorso terapeutico, e ha concluso rispondendo “Non proprio, non c’è niente di sbagliato in me”, il terapeuta può allora chiedere:
“Okay, tu sei venuto e sei seccato da questa cosa dell’atteggiamento su cui insistono le altre persone; quindi cosa potrebbe portarti a pensare che questo inizio non sia una completa e totale perdita di tempo?”
Se il ragazzo dovesse rispondere un qualcosa come “Liberarmi dagli adulti”, il terapeuta sarebbe nuovamente in gioco e il lavoro acquisirebbe una direzione. Vedremo nel prossimo post come si comporta il terapeuta quando il paziente risponde “Non so” alla domanda “E cos’altro?”, e quali strategie e soluzioni può adottare per proseguire nel percorso.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi