Quale domanda dovrebbe essere posta per determinare i progressi del paziente, “Quali saranno i segni che ti faranno capire che ti sei spostato di un punto più in alto?” oppure “Cosa devi fare per salire un gradino più in alto?” (ovviamente in riferimento alla scala, trovi qui degli approfondimenti).
Come determinare i progressi del paziente
Il terapeuta che è ancora agli esordi della sua carriera è, solitamente, più propenso a porre la seconda domanda, in quanto sembra essere più diretta rispetto alla prima.
“Cosa devi fare per salire un gradino più in alto” focalizza il cliente e spesso porta alla costruzione di un piano d’azione.
La prima domanda, invece, è più soft, più riflessiva, cerca di far mettere in evidenza al paziente i segni di un possibile miglioramento e non lo obbliga a una particolare azione.
In realtà, entrambi questi approcci sono utili e non è un caso che il terapeuta si trovi nella condizione di poter scegliere o l’uno o l’altro.
Infatti, alcuni pazienti manifesteranno la volontà di costruire un piano d’azione e il terapeuta dovrà cercare di adattarsi a tale desiderio.
La differenza d’approccio tra queste due domande
Un esame più attento, tuttavia, mette in evidenza la differenza che esiste tra queste due domande, rivelando una reale differenza d’approccio.
La domanda che verte sui segni, infatti, è più fedele all’approccio orientato alla soluzione rispetto all’altra.
Possiamo capire meglio questa sottile, ma importante differenza, grazie a una testimonianza di Harry Korman:
«La domanda naturale da porsi è: “Cosa devi fare per compiere un passo avanti?” Una volta, un giovane che avevo in terapia, ha risposto a questa domanda dicendo: “Questo è il tuo lavoro, sono qui per questo, pensi davvero che sarei seduto qui se conoscessi la risposta a questa domanda?”
Gli ho chiesto scusa e gli ho detto se potessi provare con un’altra domanda. Lui ha annuito e dunque ho chiesto: “Come fai a sapere che hai fatto un passo in avanti?”
“Questa è una domanda a cui solo io posso rispondere”.
Il dover rispondere dicendo ciò che devono fare implica che debbano fare qualcosa, non sono poi affari nostri se lo fanno o meno.» (de Shazer et al. 2007: 64-65)
Specificare cosa il paziente deve fare
Porre la domanda nel modo che abbiamo visto ora, mette in evidenza un principio cruciale dell’approccio orientato alla soluzione: mette al centro i desideri e le competenze dei pazienti lasciando che siano loro a fare il lavoro, non cerca di sollecitarli affinché seguano una determinata linea d’azione.
Quando al paziente viene chiesto di specificare cosa debba fare, solitamente accade perché il terapeuta è preoccupato che la sessione di terapia possa concludersi solo con una chiacchierata, a meno che non venga profilato una sorta di piano d’azione.
In ogni caso, come ha indicato Korman, quando viene domandato al paziente “cosa devi fare” questi, probabilmente, risponderà con “non adesso”, mentre attende la reazione del terapeuta.
Domandare “come potresti sapere” o “come saprebbero gli altri”, invece, conduce a un’elaborazione più ponderata da parte del paziente.
Nel prossimo articolo vedremo come comportarci se il paziente dovesse rispondere che si trova ancora al punto “0”.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
De Shazer, S., Dolan, Y., Korman, H., Trepper, T., McCollum, E. and Berg, I. K. (2007) More than Miracles: The State of the Art of Solution-Focused Brief Therapy. New York: Haworth.