In questo articolo andremo a vedere perché sia più utile parlare di suggerimenti e non di compiti. Prima di addentrarci in questo discorso, però, dobbiamo fare un piccolo preambolo.
Un po’ di tempo, fa, esattamente in questo articolo, si è discusso sulla centralità della definizione dei compiti in relazione agli inizi della storia della Terapia Breve centrata sulla Soluzione.
Steve de Shazer ha aggiunto alla tassonomia dei compiti quello che chiama “skeleton keys” e che possiamo definire come delle chiavi passe-partout, che servono dunque ad aprire qualsiasi porta.
Tali chiavi sono state cruciali nello sviluppo della sua idea sui processi di formazione del problema e dello sviluppo della soluzione.
Egli, infatti, ne dedusse che tali processi fossero separati, dal momento in cui suggerirono che un compito non specificamente relazionato al particolare problema del paziente, poteva comunque essere associato al cambiamento.
First Session Formula Task, l’importanza dei suggerimenti
Come abbiamo già visto, de Shazer ha sviluppato la “First Session Formula Task”, un particolare procedimento mediante il quale il terapeuta assegnava dei compiti (per ora li chiameremo ancora così) al paziente:
“Tra oggi e la prossima volta che ci vedremo, vorrei che tu osservassi, in maniera da potermelo descrivere durante il prossimo incontro, cosa succede nella tua famiglia, vita, nel tuo matrimonio, nella tua relazione, – scegli ciò che preferisci – che vuoi che continui ad accadere.” (1985: 137).
Questo compito si adatta a qualsiasi tipo di problema si presenti, così come un’altra invenzione di de Shazer: “Quello che vorrei tu facessi da qui al nostro prossimo incontro, ogni volta “che” accade, è fare qualcosa di diverso” (1985: 122).
Quello che suggeriva de Shazer è che si facesse qualcosa di diverso ogni volta. Il compito poteva essere applicato in qualsiasi circostanza e poteva consistere in qualsiasi cosa, purché ogni volta fosse una cosa differente.
Così de Shazer era enormemente interessato ai compiti, aggiungendo dunque al repertorio del terapeuta novità quali “comportarsi come se il miracolo fosse già avvenuto”; “argomenti strutturati”; “compiti di lettura-scrittura-copiatura”; “testa o croce”; compiti di previsione o semplici compiti di avvertimento.
Dal compito al suggerimento
Nella sua ricerca della semplicità e della minimizzazione della tipologia d’intervento, si è andati avanti e il mondo della soluzione centrata è andata perdendo interesse per gli interventi di stampo più esotico che avevano caratterizzato la sua prima fase.
Molti terapeuti, nell’esercizio quotidiano della professione, generalmente parlano di semplici “suggerimenti”: “Tra oggi e il prossimo incontro, quello che potresti fare è porre attenzione alle cose che fai e che ti portano nella direzione della vita che vorresti.
Le specifiche dell’osservazione devono essere adeguate al contesto della sessione, in modo che abbiano senso per il paziente. L’esortazione chiave per il paziente, però, è quello di allontanarsi da dal modello del problema, cosa che, diversamente, lo alimenterebbe e sosterrebbe, in modo da notare le cose che invece si desidera veder aumentare, inteso come cose positive.
L’attenzione alla soluzione, infatti, presuppone che ciò sui cui ci si concentra diventi più grande.
Un altro sintomo del cambiamento all’interno della pratica della Terapia Breve centrata sulla Soluzione è il passaggio dalla parola “compito” alla parola “lavoro” o, come detto, alla parola “suggerimento”.
Prescrivere compiti, o compiti a casa, rischia di creare delle difficoltà relazionali, dato che entrambi i termini implicano una differenza gerarchica.
Se ci si pensa, i pazienti, in effetti, non possono prescrivere alcunché ai loro medici e i bambini in età scolare non possono preparare compiti per i loro insegnanti.
Un altro rischio ricorrente, in questi casi, è il fatto che il terapeuta possa pensare che il paziente non riesca a svolgere il compito o il compito a casa perché oppone resistenza o perché immotivato o perché il compito non è conforme.
Questi termini che sottintendono una colpa da parte del terapeuta nel fallimento, limitano fortemente la probabilità di compiere ulteriori progressi. Tuttavia, se il terapeuta “offre suggerimenti”, si aprono diverse possibilità.
Se offriamo un suggerimento al paziente, e questi non lo accetta, abbiamo comunque maggiori probabilità di fare autocritica e domandarci “cosa non ha funzionato col mio suggerimento” e “come posso inquadrare un suggerimento migliore per la prossima volta” o “questo paziente potrebbe andare avanti in modo più proficuo senza suggerimenti”?
Questo modo di affrontare l’assenza di capacità del paziente, segue la proposta di de Shazer: qualsiasi cosa stia facendo il paziente è il meglio che possa fare in quel determinato momento ed è compito del terapeuta collaborare con il paziente, qualsiasi cosa stia facendo.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
de Shazer, S. (1985) Keys to Solution in Brief Therapy. New York: Guilford Press