Trattare l’Alzheimer con la Terapia Breve centrata sulla Soluzione non solo è possibile, ma dà anche risultati apprezzabili. Molti casi in cui era presente anche della violenza, hanno dato esiti positivi, come vedremo nelle due storie che esamineremo di seguito.
Trattare l’Alzheimer: il caso di Marta
Marta era stata portata dal terapeuta, per una consulenza, da sua figlia Roberta che aveva seguito il consiglio di un terapeuta occupazionale della comunità. In principio, Roberta aveva chiesto un’assistenza domiciliare per sua madre che soffriva di Alzheimer, dato che da sola, ormai, non era più in grado di gestire le sue richieste.
Una volta Marta era stata un membro di spicco della comunità in cui viveva e parlava ancora con una certa coerenza del centro di consulenza che aveva creato e gestito.
Secondo quanto riportava Roberta, sua madre non aveva più la memoria a breve termine, dimenticava, cioè, tutto quanto accaduto di recente.
Nonostante ciò, quando le era stata posta una “Miracle Question” (puoi approfondire qui l’argomento), che le aveva come restituito la memoria improvvisamente, Marta era stata in grado di descrivere tutto ciò che lei e sua figlia stavano programmando per l’indomani (dovevano andare a fare gli acquisti di Natale).
Roberta era rimasta sbalordita. Si era parlato anche di altro, per esempio, di come Roberta aveva affrontato lo stress causato dalla situazione difficile, di come Marta era riuscita a non mettersi in pericolo, di come erano riuscite, ancora, a divertirsi assieme e di come avevano sempre avuto un rapporto stretto e di affetto reciproco.
Roberta aveva cancellato la seconda seduta asserendo che non era certa se la memoria della madre fosse migliorata, ma che ora la sua gestione non sembrava più essere un problema.
Cinque anni dopo il terapeuta era stato invitato a una celebrazione per l’anniversario del centro di consulenza e Marta era l’ospite d’onore. Non si ravvisava nessun segno dell’Alzheimer, anche se Roberta aveva detto che all’indomani la madre non avrebbe avuto più alcun ricordo di quella serata. La cura della madre, per Roberta, era stata più una fonte di gioia che di stress.
Il caso di Eileen
Eileen aveva trascorso la seduta trattando il terapeuta come un amico di famiglia di vecchia data, o come un acerrimo nemico da prendere a frustate, con improvvisi colpi di sonno tra un sentimento e l’altro.
Quando poteva, il terapeuta prendeva informazioni sul suo buon umore, sulla sua forza fisica, sulla vicinanza della sua famiglia.
Mentre lei dormiva, il terapeuta domandava alla figlia come se la cavasse e quali fossero le differenze che sperava di vedere nella madre qualora l’incontro si fosse rivelato proficuo.
Come spesso accade in questa tipologia di sessione terapeutiche, terreno ostico e tutto da esplorare, difficilmente si trovano indicazioni sui manuali e ogni caso è un caso a sé.
Agli occhi di un estraneo, ma anche della figlia, tutta la sessione poteva apparire come un discorso più sociale che terapeutico.
A ogni modo il terapeuta aveva ben presente l’esito sperato, così come le circostanze attuali e quelle passate che potevano supportare il buon esito.
Alla fine si era trattato di una seduta unica e inconcludente, ma due anni dopo la terapeuta aveva ricevuto un feedback: Eileen non aveva più manifestato episodi di violenza improvvisa.
In conclusione
Sia il caso di Eileen che quello di Marta erano due casi disperati che avrebbero potuto portare a ingenti spese nel tentativo di colmare i deficit associati all’Alzheimer. In entrambi i casi le famiglie erano state in grado, fortunatamente, di continuare a gestire i loro cari senza dover ricorrere ad aiuti extra.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi