Abbiamo esaminato diversi casi e diverse modalità in cui viene messo in atto l’approccio Terapia centrata sulla Soluzione, puoi trovarne alcuni qui, ma cosa accade se ci si trova davanti a una situazione di rischio per il paziente? La prima cosa che deve essere chiara è che l’approccio centrato sulla Soluzione non è un approccio normativo, ovvero, non ha idea di cosa sia giusto o sbagliato, né tanto meno di come il paziente debba vivere la sua vita.
L’esito ideale del lavoro viene determinato dal cliente stesso nel momento in cui esprime quale sia la sua migliore speranza riguardo all’incontro col terapeuta.
Approccio Terapia centrata sulla Soluzione
Il tipo di approccio che viene impostato mediante la Terapia Breve centrata sulla Soluzione non è altro che una descrizione del dialogo che si imposta con il paziente e che ha come finalità quello di raggiungere i risultati sperati dal paziente stesso.
La Terapia, quindi, non si propone di giudicare la vita del paziente, quindi ogni domanda posta viene ritenuta legittima solo in relazione a quello che è il risultato che il paziente spera di ottenere dagli incontri col terapeuta.
Ogni domanda che esula da tale finalità deve essere ritenuta “invadente” o, di più, una sorta di imposizione, dato che esprimerebbe il senso di giusto o sbagliato del terapeuta.
Come la Terapia centrata sulla Soluzione risponde a un caso ritenuto di rischio? Semplicemente l’approccio della terapia centrata sulla Soluzione non dà una risposta.
Questo però non significa che il terapeuta non possa trovare una risposta in questa circostanza, ma semplicemente che per farlo ha necessità di uscire dai modelli della Terapia Breve e di attingere da un insieme di valori che siano in grado di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, evitando così situazioni di pericolo per il paziente.
Un esempio di un caso in cui vi è un rischio concreto per il paziente
Immaginiamo che il terapeuta si trovi davanti a una paziente che in passato è stata picchiata dal proprio compagno e che, a causa di tali violenze, ora la sua vita sia potenzialmente a rischio.
Immaginiamo che quando viene chiesto alla paziente quali siano le sue migliori speranze circa il percorso terapeutico, questi risponda dicendo che vorrebbe essere più decisa, che è stanca di essere vessata.
Dal punto di vista della Terapia Breve centrata sulla Soluzione, questa risposta non presenta alcun problema.
Si tratta infatti di ciò che desidera il paziente e che è perfettamente in linea con le competenze del terapeuta (aiutare le persone a essere più decise). La risposta rappresenta una possibilità assolutamente realistica.
Ma per il terapeuta a questo punto dovrebbe suonare un campanello d’allarme.
Se la paziente dovesse diventare un po’ troppo “decisa” e dovesse opporsi apertamente al partner, il partner potrebbe rispondere a questo atteggiamento con maggiore violenza per rimetterla “al suo posto”.
A questo punto il terapeuta deve uscire dallo schema della Terapia Breve e riportare la situazione a una condizione di sicurezza per la paziente.
Vediamo un ipotetico esempio:
Terapeuta: Ok, pensi che i nostri incontri potrebbero esserti utili per sentirti più decisa nella tua vita, e in particolare nell’ambito del tuo matrimonio?
Paziente: Sì.
Terapeuta: Bene, posso farti una domanda? Immagino che la tua sicurezza sia importante per te, vero?
Paziente: Sì, certo che lo è.
Terapeuta: Bene, immaginiamo che tu stia acquisendo consapevolezza e stia diventando più decisa, questa per te è una cosa positiva, è positiva per il tuo rapporto e anche per la tua sicurezza, da cosa te ne rendi conto che è così?
In questo preciso momento il paziente accetta l’inserimento della sicurezza nella rappresentazione del suo futuro auspicato.
Tuttavia, è importante riconoscere che il terapeuta ha imposto in modo assolutamente legittimo il tema della sicurezza.
Se il paziente avesse risposto “no” alla domanda del terapeuta, questi si sarebbe trovato davanti a un dilemma etico e morale. Si deve continuare con la terapia o no?
L’approccio della Terapia centrata sulla Soluzione non può dare una risposta a questa domanda, ma un terapeuta con una sua etica dovrebbe sempre farlo.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi