Una delle sfide più impegnative nell’approccio centrato sulla soluzione, per i professionisti, è comprendere la misura in cui si devono rendere centrali le preferenze del paziente trattandolo come se “sapesse di più”. Una delle questioni più spinose per il terapeuta è quella di stabilire quando fissare l’appuntamento successivo.
Quando fissare l’appuntamento successivo
Questo vale non solamente per quanto concerne la realizzazione del contratto (puoi approfondire qui), assumendo quindi che il modo migliore per procedere sia quello che il paziente ritiene migliore, ma anche per il processo della terapia stessa.
Si presume quindi che il paziente sappia meglio di chiunque altro quando terminare il percorso terapeutico. Ma si presume anche che il paziente abbia una migliore prospettiva riguardo al quando fissare l’appuntamento successivo.
Quindi il terapeuta focalizzato sulla soluzione dovrà essere pronto a vedere un paziente anche tutti i giorni, a tempo indeterminato, se questo è ciò che desidera il paziente?
Assolutamente no, e qui si entra in un discorso etico. La struttura del contratto, infatti, non determina in alcuno modo che debbano prevalere le preferenze del paziente. Il professionista, infatti, deve tenere conto anche dei fattori etici e dalla tipologia del caso.
Se il terapeuta ritiene che 6 appuntamenti siano sufficienti, ma il paziente opta per altre sessioni, si devono fare le dovute riflessioni.
Se il paziente vuole continuare oltre le sessioni stabilite
Cosa succede se il paziente sceglie di continuare a vedere il terapeuta oltre a quelli che erano gli appuntamenti stimati al principio?
Ebbene, dipende molto dall’idea che si è fatto il terapeuta. Se questi pensa che ulteriori incontri siano inutili è bene interrompere.
Se il terapeuta non è convinto dell’utilità del lavoro, probabilmente baserà la sua decisione sull’interruzione del percorso su delle considerazioni di tipo etico.
“A prescindere dalle sue preferenze, non credo che sarebbe giusto continuare a proporre appuntamenti, poiché ritengo che così sia un o spreco di denaro e di tempo.”
Le pause più lunghe danno modo al paziente di fare qualcosa di diverso e quindi aumentano le probabilità che all’appuntamento successivo sia in grado di riferire dei progressi. La durata della pausa dipenderà anche dallo stato del paziente.
Evidentemente, le persone che si trovano in piena crisi avranno meno capacità di gestire una pausa e mantenere l’obiettivo della sessione rispetto a chi, invece, sta già facendo progressi e la crisi acuta appartiene al passato.
Qual è quindi la soluzione migliore?
Queste circostanze trovano soluzione in una proposta, divisa in due parti, che viene offerta ai pazienti al termine di incontri mirati alla soluzione:
Prima parte: “Pensi che sarebbe utile per te tornare, o preferiresti prenderti un tempo di riflessione su quanto fatto, e poi farmi sapere?”
E se il paziente sceglie di avere un altro appuntamento, “Quindi, quando pensi sarebbe meglio tornare, tra due, tre settimane, di meno, di più?”
Questa formula implica che il paziente torni nelle settimane successive.
Un processo a cui molti pazienti son stati abituati non necessariamente significa che sia il migliore.
Assicura, in questo caso, che se i pazienti dovessero tornare, sarà sempre sulla base della loro decisione che un ulteriore incontro possa essere loro utile, invece che sulla base di un contratto predeterminato.
Il paziente sta tornando perché vuole ottenere qualcosa dall’incontro.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi