Se il coaching non fosse stato ideato, certamente si sarebbe comunque arrivati a questo attraverso la combinazione tra la terapia centrata sulla soluzione e una supervisione centrata sulla soluzione, qui trovi approfondimenti utili.
Il processo per aiutare un professionista a migliorare le sue prestazioni dovrebbe essere simile a quello utilizzato per aiutare un paziente di un ospedale psichiatrico a migliorare il suo stile di vita.
Coaching, le differenze e i punti in comune con la terapia
Nonostante quello che ho appena detto e le oggettive similitudini, ci sono comunque delle differenze tra coaching e terapia (Iveson et al. 2012).
Iniziando dai punti in comune, si può rilevare che a entrambi si applica lo stesso schema di conversazione:
- Quali sono le tue migliori speranze che riponi in quest’incontro?
- Cosa ci sarà di diverso se queste speranze si realizzeranno?
- Cosa stai già facendo per contribuire alla realizzazione di queste speranze?
Per quanto riguarda le differenze, invece, notiamo quanto segue:
- Una persona che fruisce del coaching, con tutta probabilità (anche se non è una regola fissa) lo fa con uno scopo che mira al risultato, per esempio, spesso accade che la motivazione sia migliorare qualche aspetto delle proprie performance professionali.Il paziente in terapia, invece, ha più probabilità (non sempre tuttavia) di giungere alla seduta con un problema da risolvere.Proprio questo, infatti, da la possibilità al terapeuta di porre la seconda domanda. Se la prima risposta del paziente è “se il problema scomparisse io non sarei depresso”, la domanda successiva potrebbe vertere su cosa ci sarebbe in luogo del problema.A questa domanda il paziente potrebbe dare una risposta apprezzabile, come per esempio “sarei in grado di andare avanti con la mia vita”.
- La seconda differenza è quella del rapporto. Una persona che ha un problema si trova in una posizione di vulnerabilità e non ci sono motivi per presumere che i terapeuti siano meno inclini rispetto al resto della popolazione a sottolineare questa posizione di forza nella relazione tra loro e i pazienti. Il coaching ha un’etica diversa. Infatti è più probabile che chi vi si sottopone si presenti alla seduta con un’aspirazione piuttosto che con un problema, pertanto il rapporto che si instaura tra coach e utente sarà simile a quello tra un cliente e il suo avvocato, invece che come tra medico e paziente.Mettere la propria psiche e il proprio corpo nelle mani di un altro è decisamente più rischioso che affidargli la propria carriera o il proprio reddito.
- La terza differenza è legata a questo tipo di relazione appena descritta: la responsabilità. Domanda per domanda e, sovente, risposta per riposta, non vi sono grandi differenze tra terapia e coaching se entrambi sono orientati verso la soluzione. Potrebbero esserci anche le medesime speranze; per entrambi la più comune è “più fiducia”, ma anche qui dobbiamo necessariamente fare una distinzione tra i due casi.
Se un dirigente scolastico è alla ricerca di maggiore fiducia, ma non la ottiene, è probabile che questa condizione faccia scaturire in lui una sorta di irritazione, ma non di certo un vero problema nella sua carriera.
Invece, se un paziente particolarmente depresso vede l’acquisizione di maggiore fiducia come un appiglio per tornare alla vita, come una possibilità di “salvezza”, qualora dovesse fallire si troverà in una posizione decisamente diversa da quella del dirigente scolastico.
Diverse prospettive in relazione ai pazienti
Le terapie che si basano sulla cosiddetta “conoscenza esperta”, nelle quali il terapeuta ha una conoscenza teorica che gli consente di “riconoscere” cosa non va nel paziente e di conseguenza di sapere come fare a risolvere tale situazione, non sono altro che un esercizio di potere in certo qual modo.
In questo tipo di relazione, infatti, c’è una posizione di privilegio, che è quella del terapeuta, e una di svantaggio, che è quella del paziente.
Altra forza che gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di relazione è la responsabilità.
Ai terapeuti viene chiesto di sottoporsi a loro volta alla stessa terapia per conoscere se stessi e per capire le diverse implicazione di potere e responsabilità dall’interno.
Quando il terapeuta conosce meglio, il paziente dovrebbe mostrarsi più disponibile a seguire il percorso che questi gli indica.
Qualora il paziente non fosse accondiscendente, il terapeuta potrebbe rifiutare di assumersi la responsabilità di un eventuale fallimento e comunicarlo al paziente che verrebbe così descritto come demotivato o resistente.
Il coaching e la terapia breve centrata sulla soluzione hanno in comune una posizione più umile rispetto ai loro pazienti: i terapeuti saranno così più propensi a supporre che il paziente sia più consapevole, il compito, allora, sarà solo quello di aiutare il paziente a mettere in pratica le proprie conoscenze e a chiarire lo scopo per il quale devono essere utilizzate.
Il coach e il terapeuta considerano i loro pazienti come individui pieni di risorse, capaci e in grado di prendere le proprie decisioni.
Ne consegue che queste due figure sono meno tentate dall’utilizzare la loro posizione -per quanto con buone intenzioni- per intervenire.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
Iveson, C., George, E. and Ratner, H. (2012) Brief Coaching: A Solution Focused Approach. London: Routledge