Ludwig Wittegnstein, un grande filosofo austriaco, sviluppò la nozione di gioco linguistico.
Questo concetto è stato molto importante per lo sviluppo di quello che sarebbe stata poi la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. E a questo concetto de Shazer si sente molto vicino, ma lo dichiarerà apertamente, anche con i suoi lavori.
Gioco linguistico: non pensare, ma osservare
Secondo Wittengstein le parole assumono significati diversi a seconda del contesto in cui vengono utilizzate e delle regole per utilizzarle.
«Seguendo Wittengstein possiamo sapere che cosa significhi una parola attraverso l’utilizzo che ne fanno i partecipanti a una conversazione.» (de Shazer et al., 2007: 3)
Il gioco linguistico incentrato sul problema è uno dei questi giochi linguistici concettualizati da Wittengstein.
Solitamente, tale gioco linguistico, contempla un linguaggio focalizzato sulla storia passata e negativa e che suggerisce la permanenza del problema.
Un gioco linguistico focalizzato sulla soluzione, al contrario, è generalmente più positivo, fiducioso e focalizzato sul futuro. Suggerisce la transitorietà dei problemi.
Critiche mosse a questo tipo di approccio
È stata fatta una distinzione tra “parlare del problema” e “parlare della soluzione” nel senso che
«la discussione del problema fa parte del problema stesso e non fa parte della soluzione» (Berg e de Shazer 1993: 8).
Di contro:
«dal momento che il paziente e il terapeuta parlano e riparlano della soluzione che vogliono costruire assieme, arrivano a credere nella verità o nella realtà di ciò di cui stanno parlando. È così che funziona la lingua, naturalmente» (Berg e de Shazer 1993: 9).
Questo approccio linguistico ha attirato numerose critiche, incluso il fatto che sia eccessivamente intellettualistico e non ponga sufficiente attenzione ai problemi della gente.
Contro questa critica de Shazer replicò che le emozioni sono una parte del linguaggio e che ai pazienti non viene impedito di parlare delle loro emozioni; in ogni caso, citando Wittengstein «un processo interiore ha bisogno di criteri esteriori (de Shazer 1991: 74), da qui l’attenzione ai comportamenti in cui si parla della soluzione.
Una critica ulteriore è che non si pone sufficiente attenzione ai contesti sociali e politici in cui vivono i pazienti.
A questa critica de Shazer ha risposto sostenendo che se il paziente non menzionava problemi esterni (quali cattive condizioni abitative, razzismo) al terapeuta non restava altro da fare che portare la propria agenda politica nello studio. (Miller e de Shazer 1998)
Costruttivismo vs costruzionismo sociale
La posizione filosofica predominante nella Terapia centrata sulla soluzione è quella più vicina al costruzionismo sociale.
«Il costruttivismo propone che ogni individuo costruisca mentalmente il mondo dell’eseperienza… il processo della costruzione del mondo è psicologica; essa ha luogo “nella testa”. Di contro, secondo il costruzionismo sociale, ciò che noi consideriamo reale è il frutto delle relazioni sociali.» (Gergen 1999: 236- 237).
Questo significa che quando costruiamo il mondo, lo facciamo per lo più con le categorie che ci vengono fornite dalle relazioni sociali. Questo spiega l’enfasi che la Terapia Centrata sulla Soluzione ha nel porre domande al paziente riguardo le sue relazioni con gli altri e con se stesso.
Ciò implica anche porre particolare attenzione alla relazione terapeutica che si sta sviluppando, assicurando una relazione di collaborazione con il paziente.
Il terapeuta dovrà così lavorare sul futuro del paziente assieme a lui invece che valutarlo, fare una diagnosi per fare poi la prescrizione più idonea.
Una battuta di de Shazer, (che ha poi attribuito a John Weakland) dice:
«la terapia riguarda due persone che stanno provando a trovare cosa diavolo vuole uno di loro!»
Questo implica che il terapeuta accetti che i terapeuti siano esperti nel fare domande utili, ma che non lo siano della vita dei pazienti.
Il paziente è colui che valuta la terapia
Se il paziente è colui che meglio sa ciò che vuole dalla sua vita, ne segue che solo lui può giudicare l’esito della terapia.:
«sono i pazienti stessi a valutare quando i problemi sono risolti. Tale posizione ha prodotto una grande distanza tra de Shazer e la comunità che si basava sull’evidenza e che diffida dei feedback e delle valutazioni del paziente come unica fonte di conoscenza.» (Walsh 2010: 25)
Un ultimo punto: la visione post-strutturalista di de Shazer significò essere contrario al concetto che vi fosse una teoria in grado di spiegare come funziona qualsiasi terapia. Invece usò la filosofia come un modo per dare
«risalto alla descrizione piuttosto alla spiegazione» (Simon and Nelson, 2007: 156).
Ciò che avrebbe detto, quando gli fu chiesto di altri modelli di terapia, fu che poteva solo descrivere ciò che vedeva accadere (piuttosto teorizzarlo), allo stesso modo sottolineava che quando si parla di pazienti, si dovrebbe solo descrivere ciò che si è visto o sentito, evitando qualsiasi interpretazione. In questo modo asserì di seguire Wittgenstein.
Nel prossimo post parleremo delle ipotesi di soluzione mediante l’applicazione della Terapia Breve Centrata sulla soluzione.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
de Shazer, S. (1991) Putting Difference to Work. New York: W. W. Norton.
de Shazer, S., Dolan, Y., Korman, H., Trepper, T., McCollum, E. and Berg, I. K. (2007)
Berg, I. K. and de Shazer, S. (1993) Making numbers talk: language in therapy. In S. Friedman (Ed.), The New Language of Change: Constructive Collaboration in Psychotherapy. New York: Guilford Press.
Miller, G. and de Shazer, S. (1998) Have you heard the latest rumor about …? Solution-focused therapy as a rumor. Family Process, 37: 363– 377.
Gergen, K. J. (1999) An Invitation to Social Construction. London: Sage.
Walsh, T. (2010) The Solution-Focused Helper. London: McGraw-Hill.
Simon, J. and Nelson, T. (2007) Solution Focused Brief Practice with Long Term Clients in Mental Health Services: ‘I Am More Than My Label’. New York: Haworth.