Un approccio terapeutico incentrato sulla soluzione offre molte possibilità in fatto di sicurezza del paziente.
Tuttavia, come accade per tutti gli altri approcci terapeutici, non può essere utilizzato da solo come unico strumento di valutazione. Valutazione e trattamento possono essere in comunicazione, ma ogni processo deve essere considerato un processo a sé.
Per quanto riguarda la sicurezza del paziente, che è il tema principale di questo articolo, possiamo dire senza dubbio alcuno che pioniere, in questo ambito, è stato Andrew Turnell.
La sicurezza del paziente: il lavoro di Andrew Turnell
In questo ambito Andrew Turnell ha svolto un lavoro pionieristico con il modello “Segni di sicurezza” che attualmente è ancora adottato dai servizi di salvaguardia in tutto il mondo.
In cosa consiste il modello? Ebbene, questo modello fornisce una semplice griglia su cui possono essere tracciati sia il rischio che i fattori di sicurezza di una determinata situazione.
Solamente quando vi è un certo margine di sicurezza per il paziente possono aver luogo le conversazioni terapeutiche finalizzate al cambiamento. In tal senso, come è stato detto, la Terapia Breve centrata sulla soluzione ha molto da offrire.
L’attenzione verso ciò che il paziente sta già facendo bene, infatti, serve ad aumentare la collaborazione e la fiducia in se stessi: “Cosa pensi di fare già bene come genitore?”.
La fiducia aumenta ulteriormente quando il terapeuta inizia a cercare di tirar fuori le capacità nascoste del paziente: “Se domani ti svegliassi e fossi il genitore che vorresti essere e che i servizi sociali vorrebbero tu fossi, quale sarebbe la prima cosa che noteresti?”
La Terapia Breve centrata sulla Soluzione è stata anche efficace nel ridurre la violenza domestica.
Le vittime di violenza che si concentrano sulla sicurezza e su come questa possa essere implementata, sono in grado di avere un maggior controllo sulla loro vita, anche in virtù del fatto che smettono di sentirsi responsabili essi stessi della violenza subita.
Vediamo adesso l’esempio concreto di una donna che aveva subito violenza domestica da parte del padre del suo bambino.
La storia di Josephine
Josephine, mamma di un bimbo neonato, aveva subito violenza da parte del padre del bambino. Aveva un taglio sull’occhio sinistro e, dal momento che la polizia aveva notificato l’episodio di violenza ai servizi sociali, la donna rischiava di vedersi portar via il bambino.
Durante la terapia, la donna era riuscita a ritrovare il rispetto di sé descrivendo un “domani”. Nel descrivere un futuro sicuro, infatti, la sua voce era diventata più forte e ferma. La sua postura da seduta era diventata più eretta e finalmente aveva iniziato ad abbandonare l’idea che quanto accaduto fosse imputabile al suo comportamento.
Su una scala della sensazione di sicurezza Josephine si era collocata al gradino 4 (puoi approfondire sulla scala qui). Dopo una lunga riflessione su ciò che stava già facendo per proteggersi in questa condizione di pericolo, la terapeuta le aveva chiesto: “Cosa potrebbe essere diverso da ora se tu fossi sul 5° gradino?”
Josephine aveva risposto che avrebbe avuto indietro le sue chiavi di casa e questo le avrebbe dato una maggiore sensazione di sicurezza, anche se era consapevole che il suo ex-marito avrebbe potuto buttare giù la porta a calci.
Pensando ancora a cosa avrebbe potuto darle ancora maggiore sicurezza, Josephine aveva risposto “uscire con di più” (la donna non andava più nemmeno al supermercato) e “riallacciare i rapporti con gli amici”.
Sono affermazioni ovvie in un certo senso, ma diventano importanti nel momento in cui il paziente ci arriva da solo, diversamente è ancora l’ennesimo suggerimento calato dall’alto, da uno più forte, che dice cosa deve essere fatto.
A questo punto il terapeuta aveva chiesto a Josephine come l’essere in contatto con gli amici le avrebbe dato maggiore sicurezza e lei aveva esternato una situazione sorprendente: le avrebbe dato maggiore sicurezza se fosse andata a trovare il suo ex-marito con gli amici che li avevano fatti conoscere perché così non avrebbe mai fatto nulla davanti a lei.
Per nove mesi e un totale di 7 sedute, Josephine non era mai più stata vittima di violenza da parte del suo ex. Era rimasta in una sorta di relazione altalenante con lo stesso uomo, ma a condizioni decisamente diverse.
Durante l’ultima seduta, al momento dei saluti, aveva detto al terapeuta: “Ti ho mai detto che ero anoressica?”
Al no del terapeuta aveva risposto: “Beh, non lo sono più, quindi grazie anche per questo!”
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
Turnell, A. and Edwards, S. (1999) Signs of Safety. New York: W.W. Norton.
Lethem, J. (1994) Moved to Tears, Moved to Action: Brief Therapy with Women and Children. London: Brief Therapy Press.
Lee, M. Y., Sebold, J. and Uken, A. (2003) Solution-Focused Treatment of Domestic Violence Offenders. New York: Oxford University Press.