Per quanto ci si possa impegnare nel proprio lavoro, per quanto un terapeuta sia valido, non sempre le cose vanno nel verso giusto.
Anche se il terapeuta adotta un approccio che si può considerare utile, ci saranno sicuramente dei momenti, nel corso della terapia, in cui il paziente sosterrà di non aver notato alcun cambiamento, come se non ci fossero progressi nella terapia.
Ci saranno delle volte in cui dirà che nulla è migliorato, altre in cui dirà che un miglioramento non ci sarà mai e che non si sposterà mai di gradino nella scala delle sue migliori speranze (a riguardo dell’argomento puoi leggere questo articolo).
In queste circostanze si deve ricordare la terza regola della Terapia Breve centrata sulla Soluzione: “Se una cosa non funziona, si deve fare qualcosa di diverso”. (approfondisci qui)
Se non ci sono progressi nella terapia, cosa può fare il terapeuta
Cosa può fare il terapeuta che si trovi nelle circostanze descritte:
1. Verificare quali sono le migliori speranze del paziente e invitarlo a valutare la possibilità di realizzarle. Su una scala da 0 a 10, dove 10 sta per la possibilità di attuare il cambiamento e 0 nel suo contrario, chiedere al paziente dove si colloca. Se si colloca molto in basso è sempre possibile rinegoziare le sue migliori speranze.
2. Invitare il paziente a fare una scala per misurare quanto sia impegnativo il raggiungimento delle “migliori speranze”; se è molto impegnativo il terapeuta potrà misurare quanto ancora il paziente sia disposto a fare per raggiungere gli obiettivi: 10 sta per “farei di tutto” per fare progressi, 0 “non sono disposto a fare niente”.
3. Cambiare la modalità della seduta: se partecipa tutta la famiglia, o una coppia, incontrare gli individui separatamente è un’opzione da provare. Se invece il paziente viene da solo, si può esortarlo a invitare qualcuno a partecipare alla seduta.
4. Incontrare il paziente in un altro momento della giornata o in un altro luogo.
5. Cambiare terapeuta.
6. Valutare col paziente i progressi fatti o l’eventuale assenza di progressi. Si può chiedere un consiglio al paziente stesso su cosa il terapeuta potrebbe fare in modo diverso.
7. Chiedere a un collega di offrire un consulto in presenza di entrambi, terapeuta e paziente, in modo da osservare cosa emerga di utile dal discorso.
8. Cambiare tipo di approccio: lo si potrebbe fare sia utilizzando un approccio alternativo in cui il terapeuta è competente, sia cercando un terapeuta alternativo che possa quindi utilizzare un modo di lavorare differente.
Se non ci sono comunque miglioramenti
Se dopo tutti questi tentativi non cambia niente, allora ci si deve chiedere perché il terapeuta dovrebbe continuare a lavorare con quel paziente se non accade nulla di utile.
Accettare di continuare a vedere un paziente in assenza di cambiamenti rischia di confondere e fuorviare il paziente stesso, lasciandogli credere che sta affrontando le sue difficoltà quando in realtà non emerge nulla di utile.
In questo modo il terapeuta stesso può diventare parte del processo di cristallizzazione del problema.
Rifiutando di proseguire, almeno, si apre la possibilità per il paziente di accettare la sfida di “fare qualcosa di diverso” e qualsiasi cosa faccia, il paziente ha la possibilità di cambiare.
Un’ulteriore alternativa è quella di suggerire, o convenire col paziente stesso, che ora potrebbe non essere il momento giusto per apportare cambiamenti alla sua vita e che invece potrebbe esserlo per trovare una stabilità.
Solo quando si sentirà pronto a fare il passo successivo sarà il momento di riprendere il percorso intrapreso col terapeuta.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi