Abbiamo visto in questo articolo come il terapeuta può guidare le risposte del paziente verso una prospettiva positiva partendo dalla domanda sulla migliore speranza del paziente riguardo al loro incontro.
Ma cosa accade se, quando il terapeuta chiede al paziente quale sia la sua migliore speranza, questi rispondesse qualcosa che non rientra nelle possibilità del terapeuta?
Se la speranza del paziente non rientra nel compito del terapeuta
Facciamo un esempio pratico per capire meglio.
Mettiamo che il terapeuta chieda al paziente quale sia la sua migliore speranza per quell’incontro. Il paziente risponde a questo modo:
“In tutta onestà, l’unica cosa che farebbe la differenza nella mia vita sarebbe avere un alloggio.”
Ovviamente, come è facile supporre, il terapeuta non ha la facoltà di trovare un alloggio al paziente. Un’altra risposta che esula da quelle che sono le responsabilità del terapeuta è la seguente:
“Tutto quello che voglio è non dover mai più venire in questa scuola.”
Anche in questo caso ci si trova davanti a una richiesta che non dipende dalle facoltà del terapeuta. In entrambi i casi il compito del terapeuta è quello di accettare la risposta del paziente, magari asserendo:
“Questo ha senso per me.” Oppure, per esempio in risposta al secondo caso: “Quello che dici suona come se la scuola non ti piacesse molto.”
Seconda fase: chiarire al paziente il ruolo del terapeuta
Se in prima istanza il terapeuta deve accettare le risposte che abbiamo appena visto, il passo immediatamente successivo è quello di chiarire il proprio ruolo.
“Immagino che tu sappia che non ho alcun tipo di influenza con il dipartimento per l’assegnazione degli alloggi.” Oppure: “Sai che il mio lavoro consiste nell’accertarmi che tu faccia il percorso rieducativo vero?”
Terza fase: la negoziazione
La fase della negoziazione consiste nel trovare una risposta adatta a quelle che sono effettivamente le possibilità del terapeuta.
Anche in questo caso vediamo un esempio:
Terapeuta: Anche se non posso influenzare la decisione del dipartimento per l’assegnazione degli alloggi, voglio però chiederti se tu e la tua famiglia doveste, in qualche modo, essere collocati in un alloggio, quale differenza pensi possa fare questo?
Paziente: È semplice, non staremmo uno addosso all’altro, non discuteremmo così tanto, non sarei così stressato, sarei più paziente coni bambini, sentirei che sto gestendo la situazione e ci sarebbe una luce in fondo al tunnel.
Terapeuta: Okay, supponiamo che ancora non sia stato collocato presso un alloggio e che non abbia nemmeno una scadenza temporale fissata dal dipartimento. Nonostante questo, però, ti rendi conto che stai davvero ricominciando a vedere la luce in fondo al tunnel e che abbia la sensazione che stai riuscendo a gestire la situazione, questo potrebbe esserti di aiuto?
Paziente: Beh penso di sì, anche se quello che voglio veramente è essere collocato in un alloggio.
Terapeuta: Certo, ma se potessimo focalizzarci un po’ sulla luce e un po’ sulla capacità di gestione questo non sarebbe utile?
Paziente: Sì.
Prendere sul serio i desideri del paziente
In questo esempio il terapeuta ha preso sul serio i desideri del paziente, sebbene non fossero nelle sue possibilità. Il Terapeuta ha spiegato chiaramente quale fosse il suo compito e ha spostato il centro della conversazione focalizzandolo su una “speranza” che si avvicina il più possibile a quello che era il desiderio principale del paziente.
Nel prossimo articolo vedremo invece come ci si rapporta a un paziente che non ha scelto da solo di venire in terapia ma che in qualche modo è stato spinto verso questa opzione, come per esempio per richiesta del proprio medico.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi