Durante l’inizio della terapia è molto frequente che il paziente non si renda conto dei cambiamenti, in quanto minimi, o riesca ad attribuire a essi un significato congruo. Spesso, tali piccoli progressi, possono essere addirittura sminuiti, attribuiti a meriti altrui o perfino banalizzati. La Strategia, in questo caso, è fondamentale, puoi approfondire qui.
Il rischio, infatti, è quello che se i cambiamenti vengono eccessivamente minimizzati, la probabilità che se ne compiano di ulteriori si riduce. Per questo motivo è fondamentale che il terapeuta scelga la strategia con cura.
Strategia: quale adottano i terapeuti focalizzati sulla soluzione
Per il terapeuta di Terapia Breve Focalizzata sulla Soluzione si presenta quindi la necessità di muoversi con i loro pazienti al di fuori di quello che è il linguaggio della possibilità a quello dell’azione.
Per mettere in pratica tale intento, la Strategia di Terapia Breve centrata sulla Soluzione si basa su due tipologie di domande “domande strategiche” e “domande sull’identità”.
La domanda più diretta di cui dispone il terapeuta è semplicemente “Come hai fatto?” Vediamo di fare un esempio.
Immaginiamo un paziente che proprio quel giorno riferisca al suo terapeuta che si è alzato, si è vestito ed è uscito fuori per una passeggiata. A questo punto il terapeuta può aprire la conversazione con un qualcosa di questo tipo, buttandola lì, quasi per caso: “suona come se tu fossi contento di poterlo fare”.
Se il paziente risponde in modo affermativo, il terapeuta può continuare chiedendo semplicemente: “Come sei riuscito a farlo?”
Se nella domanda inseriamo il concetto di “prendersi cura di se stessi”, in modo implicito stiamo asserendo che non è stato facile fare questo per il paziente e qualsiasi risposta egli darà, potrà comunque indicare dell’autostima, come con “Non so, solo io credo”, in risposta alla domanda iniziale.
Questa risposta, potenzialmente, è parte di una narrazione progressiva, come è stato detto prima, ma è improbabile che coincida anche col punto di arrivo della curiosità del terapeuta.
Ulteriori spunti per la conversazione
Infatti, il “come ci sei riuscito”, si presta a ulteriori esplorazioni, a una riflessione più focalizzata da parte del paziente.
Un modo semplice per il terapeuta di invitare il paziente a offrire una descrizione più dettagliata è semplicemente dire: “Dimmi 10 cose che hai fatto e che ti hanno aiutato ad alzarti e uscire”.
In alcune occasioni il paziente non si sarà considerato parte attiva nel risultato e potrà dire: “Non lo so, mi sono sentito meglio.”
Il terapeuta centrato sulla soluzione persisterà: “quindi cosa pensi che potresti aver fatto di recente che ti abbia fatto sentire meglio?” o “immagina che una videocamera ti stesse filmando questa mattina, seguendoti per casa. Cosa mostrerebbe il video che hai fatto e che ti ha condotto fuori di casa?”
Se il paziente continua a rispondere dicendo “niente, non ho fatto niente, è successo e basta”, il terapeuta potrebbe chiedere: “Cosa hai fatto per farlo accadere” o “Se avessi voluto che non accadesse, cosa avresti dovuto fare per evitarlo e restare a casa sul tuo divano?”
A seguire ulteriori domande che vanno a sondare come mai non abbia fatto quelle cose che avrà elencato, decidendo invece di uscire.
Il successo è replicabile
Il terapeuta non pone domande strategiche, quindi il paziente non solo è invitato a congratularsi per il suo successo, ma è anche esortato a specificare cosa abbia fato in particolare per ottenere quel successo.
Più il paziente fa queste cose, più il successo diventa replicabile. Anche quando il paziente conclude la conversazione asserendo che non sa veramente quello che ha fatto, l’effetto di queste domande è con tutta probabilità positivo.
Costruire una sorta di puzzle sulle cose che sono state reputate funzionali per il paziente, può essere per loro un notevole rinforzo e una base da cui offrire un suggerimento collaborativo alla fine della seduta.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi