Steve de Shazer ha detto che la domanda che viene posta più di frequente dai terapeuti di Terapia Breve centrata sulla Soluzione è proprio “che altro?” Di conseguenza, l’espressione più frequentemente utilizzata dal paziente è “non so”. Questa tipologia di risposta non sembra dare molte possibilità al terapeuta che, quindi, deve essere già attrezzato con una serie di potenziali risposte in modo da proseguire il dialogo.
Terapia Breve, come proseguire davanti al “non so”
Quando ci si trova davanti a una risposta come “non so”, proseguire il dialogo può essere difficoltoso. Nella Terapia Breve i terapeuti sono preparati a questa eventualità e non si lasciano cogliere di sorpresa. Hanno quindi una serie di possibili risposte atte a innescare la prosecuzione del dialogo, vediamo qualche esempio.
In realtà, la cosa migliore, prima di partire con ulteriori domande, dopo una risposta “non so” del paziente è aspettare. Non sempre il “non so” implica una reale incertezza, ma piuttosto viene utilizzato come una sorta di intercalare.
I ragazzi, soprattutto, utilizzano di frequente il “non so”, ma non necessariamente vuol dire che veramente non sanno, è più una risposta abituale. Basta che il terapeuta aspetti un attimo e il paziente continuerà con il suo discorso.
Un esempio pratico è quello di un paziente a cui viene fatta la domanda sulle migliori speranze inerenti l’incontro a cui risponde così:
“Bene, suppongo che sarebbe il mio rapporto con James, il mio più piccolo – non fa mai quello che gli chiedo e la cosa mi fa infuriare – sì, se le cose andassero meglio tra di noi”.
Se dopo una breve pausa il paziente non inizia a rispondere, allora il terapeuta può ritornare alla domanda iniziale. In questo caso, però, non deve ripeterla identica alla prima volta, ma cambiando leggermente qualche parola, e quindi riconoscendo il “non so” del paziente, per esempio:
“Allora, cosa ne pensi, cosa pensi che potrebbe farti dire che venire qui sia stato utile?”
Le parole “pensa” e “potrebbero” inducono a un ulteriore tentativo riguardo alla domanda iniziale, “Quindi quali sono le tue migliori speranze riguardo a questo incontro?”
Se il paziente ancora risponde “non lo so”, il terapeuta può andare più a fondo “Prova a indovinare, come immagini che potresti sapere che il nostro colloquio alla fine sia stato utile?”
Se il paziente ancora risponde “non lo so”, per il terapeuta restano ancora una serie di possibilità.
Persistenza
Se il terapeuta decide di persistere, dare qualche motivazione sul perché sta facendo delle domande può aiutare, così come far percepire normale il fatto di avere difficoltà a dare delle risposte. Per esempio:
“So che questa non è una domanda facile, alcuni hanno pensato molto a cosa li infastidisca, ma non sempre hanno pensato molto a come la terapia avrebbe potuto aiutarli. Per me però è davvero importante avere un’idea di quello che vuoi ottenere venendo qui. In questo modo ho molte più possibilità di farlo al meglio per te. Cosa ne pensi?”
Prospettiva alternativa
Molti terapeuti focalizzati sulla soluzione hanno sperimentato come i pazienti trovino spesso più facile rispondere parlando dal punto di vista di un altro invece che dal proprio.
A questo punto il terapeuta può chiedere: “Allora chi è che ti conosce meglio?” “La mia amica Jane?” “Ok, quindi come potrebbe Jane, senza che tu le abbia detto niente del fatto che stai venendo qui, sapere che questo incontro ti è stato utile?”
Prospettiva del referente
Per i pazienti che hanno difficoltà a specificare quali siano le loro migliori speranze riguardo all’incontro si può tentare un punto di partenza alternativo rintracciando le “migliori speranze” del referente.
“Quindi, di chi è stata l’idea di farti venire qui oggi?” “Il mio docente referente” “Ok, quindi quali sono le migliori speranze a riguardo del nostro incontro?” Se il paziente ha ancora difficoltà a rispondere, allora si può fare un incontro assieme al referente, consentendogli di articolare così le sue migliori speranze in modo da creare una base per la negoziazione col paziente.
La Terapia Breve centrata sulla soluzione da per assunto il fatto che ogni paziente che si incontra ha una buona ragione per venire in terapia, puoi approfondire qui a riguardo.
Un compito chiave del terapeuta è quello di essere sufficientemente flessibile nel suo approccio in modo da permettere al paziente di articolare la sua buona ragione.
Nel prossimo articolo, invece, potremo vedere come affrontare un paziente le cui speranze sono irrealistiche.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
George, E., Iveson, C. and Ratner, H. (1999) Problem to Solution: Brief Therapy with Individuals and Families. London: Brief Therapy Press.