Nel suo primo libro “Patterns of Brief Family Therapy”, (Modelli di terapia familiare breve) de Shazer sottolinea l’importanza del far assistere il team al lavoro del terapeuta col paziente.
In questo modo si potevano costruire dei compiti appropriati, esattamente come accadeva al Mental Research Institute.
Piano piano però, diventa chiaro che il terapeuta non sta semplicemente raccogliendo informazioni che possano essere utilizzate dagli osservatori. Anche la stessa intervista era considerata terapeutica e a partire dal suo secondo libro, de Shazer, sostiene un team è
“stimolante, ma non necessario”.
L’utilizzo delle scale per stabilire il grado di progresso
Tra le tecniche che vengono sviluppate ha un ruolo di rilievo quella che si basa sull’utilizzo di una scala di valori numerici che vanno da zero (o da 1) a 10 e che identificano il grado di progresso compiuto dai pazienti rispetto agli obiettivi da raggiungere.
Questa tecnica poteva dare risultati molto interessanti soprattutto in quei pazienti che rimanevano troppo sul vago sulle loro problematiche durante il trattamento con le domande.
Negli anni ’70 de Shazer aveva ottenuto ottimi risultati con diversi pazienti mediante l’utilizzo di queste domande, tuttavia, l’approccio utilizzato al Mental Research Institute, aveva messo in rilievo la necessità del terapeuta di avere chiaro il problema e come si dovesse iniziare a trattarlo.
Per questo motivo quei pazienti che restavano troppo vaghi con le loro risposte, rendevano tale approccio più difficoltoso. Con l’utilizzo della scala, invece, il paziente poteva definire le situazioni con un numero.
Il rasoio di Ockham
In “Keys to Solution in Brief Therapy” de Shazer faceva riferimento a un filosofo del XIV secolo, William Ockham:
«È inutile fare con più ciò che si può fare con meno».
Questo principio è conosciuto come il rasoio di Ockham, secondo questo non vi è motivo di complicare delle cose che sono semplici.
Il principio divenne quindi un tratto peculiare nella ricerca degli obiettivi minimi che rendono efficace la terapia.
L’approccio focalizzato sulla soluzione
In questa prima fase, tra gli anni 1982 e 1987, il modello centrato sulla soluzione era principalmente basato sulla ricerca delle eccezioni e sull’aiutare il paziente ad aprirsi su di esse.
L’annuncio formale dell’approccio centrato sulla soluzione avviene nel 1986 sulle pagine del Family Process in un articolo intitolato “Brief therapy: focused solution developement” (de Shazer et al., 1986).
In questo si faceva riferimento aperto al documento classico del Mental Research Institute “Brief therapy: focused problem resolution”, pubblicato sulla medesima rivista 12 anni prima.
Cambiamenti pre-terapia
C’era un ulteriore aspetto che veniva considerato in quegli anni. Il team, infatti, aveva osservato che vi era un cambiamento pre-terapia nei pazienti.
Quando a questi veniva richiesto di cercare dei cambiamenti, prima di iniziare la terapia, quindi prima del primo appuntamento, due terzi di essi sosteneva che le cose erano migliorate.
Il team aveva quindi appreso che per molti pazienti il processo di cambiamento iniziava sia prima dell’inizio della prima sessione che durante la stessa.
In questo frangente il compito del terapeuta era quello di osservare la situazione invece che darne l’avvio, in modo da ampliare ciò che stava accadendo.
Facendo riferimento al pensiero buddista, de Shazer affermò che il cambiamento è costante, la stabilità un’illusione.
Terapia breve ecosistemica
Nel suo libro “Becoming Miracle Workers” (1997), Gale Miller, un sociologo che osservò il lavoro del team di Milwakee per diversi anni, suggerì che questa fosse solo la prima fase di una terapia centrata sulla soluzione.
Inoltre asserì che, in senso stretto, non era ancora focalizzata sulla soluzione.
La chiamò “terapia breve ecosistemica” rilevando che la sua peculiarità era di definire i modelli già esistenti della comunicazione patologica e di cercare i compiti più appropriati da far eseguire alla famiglia in modo da interrompere tali schemi.
Secondo Miller, la svolta verso un orientamento veramente centrato sulla soluzione, arriva con la “Miracle Question”, che consente ai pazienti di parlare in modo inedito delle loro vite.
Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi
Bibliografia
de Shazer, S. (1982) Patterns of Brief Family Therapy. New York: Guilford Press.
de Shazer, S. (1985) Keys to Solution in Brief Therapy. New York: W. W.
de Shazer, S., Berg, I. K., Lipchik, L., Nunnally, E., Molnar, A., Gingerich, W. et al. (1986) Brief therapy: focused solution development. Family Process, 25: 207– 222.
Miller, G. (1997) Becoming Miracle Workers: Language and Meaning in Brief Therapy. New York: Aldine de Gruyter.